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<P align=justify>«Per noi è stata una scelta di fondo, ma è chiaro che c’è stato anche un calcolo economico. Abbiamo voluto caratterizzarci con un prodotto di nicchia, accettando i rischi che ciò comporta. Siamo riusciti a rendere concreta, almeno in parte, l’agricoltura ideale che avevamo in testa». La loro strategia, per rimanere nel mercato della produzione di latte, è stata la fusione. Nell’88 Gianni Pinton (neopresidente di Latterie Vicentine) e Gianni Cavedon hanno deciso di unire le loro aziende agricole, che oggi continuano a gestire in prima persona, aiutati da un dipendente. «Perché ci siamo uniti? Soprattutto per razionalizzare la gestione, i costi, l’utilizzo del materiale e delle attrezzature. E poi anche per avere un po’ più di tempo per le nostre famiglie». ''Juvenilia'' (così hanno chiamato la nuova realtà che ha sede a Schio, in località Giavenale) ha scelto però di rimanere un’azienda agricola di tipo tradizionale, cioè di mantenere una stretta connessione tra fondo e allevamento: l’azienda produce interamente il foraggio per gli animali (un centinaio tra vacche da latte e vitelle) e utilizza il letame per la concimazione dei campi. La seconda grande scelta è il biologico, prima con le mele, poi con il latte: «Abbiamo un disciplinare molto rigido di regole da seguire - spiegano -. Ad esempio, il divieto assoluto di usare prodotti chimici nei campi, oppure il divieto di dare agli animali mangimi o foraggi che contengano Ogm, organismi geneticamente modificati. O ancora, restrizioni molto forti per quanto riguarda i farmaci da dare alle mucche: dobbiamo ricorrere all’omeopatia, naturalmente sotto stretto controllo da parte di un veterinario esperto». Il risultato è un prodotto, il latte biologico, che viene pagato di più: «Per noi è stata una scelta di fondo, perché una cosa come questa bisogna sentirla dentro - dicono Pinton e Cavedon - ma è chiaro che c’è stato anche un calcolo economico. Abbiamo voluto caratterizzarci con un prodotto di nicchia, accettando i rischi che ciò comporta. Siamo riusciti a rendere concreta, almeno in parte, l’agricoltura ideale che avevamo in testa». Il biologico può essere una strada percorribile da parte degli allevamenti medio-piccoli, alle prese con costi crescenti e margini di guadagno sempre più ridotti? «È difficile, perché sono necessarie condizioni particolari, come una stalla con particolari caratteristiche e una notevole estensione di terreno a disposizione. Per produrre il foraggio noi coltiviamo circa 70 ettari di campi, parte in affitto, parte di proprietà. Inoltre, a nostro vantaggio c’è il fatto che la zona in cui siamo è già sensibile ai temi del biologico: è importante, se non indispensabile, sapere che i cittadini della tua zona non ti considerano una mosca bianca, ma riconoscono e apprezzano il tuo impegno». Le aziende medio-piccole, ammettono i due allevatori, sono le più tartassate: «I costi crescono, i ricavi rimangono gli stessi. Sono costretti a fare i salti mortali. Servono coraggio e forza per investire, e a volte non sono sufficienti nemmeno quelli. Il margine di errore è sempre più ridotto: i controlli continui sono giusti, nessuno lo nega, però non sempre questa pressione sull’allevatore è giustificata dai guadagni. Senza contare che i controlli sulla qualità sono rigorosi da noi, ma non lo sono altrettanto in alcune realtà straniere da cui però il latte viene importato in Italia in grande quantità». <BR><I>Fonte di informazione:</I> Il giornale di Vicenza, 28 aprile 2004</P>