È uscito lo scorso febbraio il nuovo rapporto Focus Biobank “Supermercati e specializzati” sul biologico, che conferma l’andamento degli ultimi anni. Il 2022 ha visto un aumento del mercato che ha superato la soglia degli otto milioni di euro, di cui il 40% è legato alle esportazioni. Se si allarga l’orizzonte agli ultimi dieci anni, si vede che i negozi specializzati hanno perso terreno nei confronti della grande distribuzione organizzata (Gdo), come abbiamo già avuto modo di raccontare in questa rubrica. Infatti, oggi la Gdo raggiunge quasi il 50% del totale delle vendite, mentre i negozi specializzati scendono a meno del 20%. Stiamo arrivando ai numeri di Paesi come Francia e Germania dove la soglia del 50% è già stata superata da anni.
Nel periodo del Covid-19 abbiamo assistito a una risalita delle vendite nei negozi, ma il 2022 registra una flessione sia rispetto al 2021 sia al 2020. Insomma, la pandemia non ha modificato le tendenze in corso e la marcia trionfale della Gdo continua con i prodotti a marca del distributore (Mdd) che arrivano a toccare il 20% del totale del fatturato. Stiamo assistendo, cioè, a un’integrazione sempre maggiore delle filiere all’interno della Gdo, in un mercato dove i nomi dei marchi dell’industria agroalimentare o dei produttori scompaiono per lasciare il campo a quelli delle catene della distribuzione.
Questo passaggio, che riguarda sia il biologico sia il convenzionale, è stato fotografato anche nel rapporto dello studio Ambrosetti “L’Italia di oggi e di domani: il ruolo sociale ed economico della distribuzione moderna” uscito a gennaio 2023. Il rapporto mette in evidenza come questo fenomeno abbia permesso agli italiani di contenere l’inflazione in salita di questi mesi grazie ai prezzi contenuti dei prodotti Mdd, con una stima che parla di un risparmio medio per famiglia di 77 euro. Come si capisce, diventa difficile in un momento di crisi come questa, avanzare qualche critica a un modello di distribuzione presentato non solo come efficiente e simbolo di modernità, ma anche in grado di far risparmiare le famiglie.
Tornando al biologico, il numero di negozi specializzati è sceso a 1.240 in tutta Italia, perdendone più di 200 in rapporto al 2017. Di questi, 434 fanno parte di catene specializzate, dove ormai NaturaSì è il leader indiscusso del settore con 368 negozi, seguito a lunga distanza dal mondo del macrobiotico che mantiene i suoi 28 punti vendita (erano 30 nel 2011) chiamati dal 2022 Stile Macrobiotico. Nel caso di NaturaSì assistiamo alla stessa strategia di puntare sui prodotti a marchio, proprio vista nella Gdo.
È triste constatare come il settore distributivo del biologico stia perdendo di diversità, in nome di una concentrazione che non riguarda solo il numero di soggetti della distribuzione, ma risale lungo la filiera per arrivare a controllare tutto il sistema agroalimentare dal seme al piatto. Meno diversità vuol dire meno concorrenza, ma non solo. Vuol dire anche che il suo valore aggiunto viene assorbito in gran parte dalle catene della distribuzione, senza avere un ritorno verso quegli attori sociali che promuovono il biologico e la trasformazione dei sistemi agroalimentari presso i cittadini, e creano innovazione con gli agricoltori nei territori.
Questa estrazione di valore riduce la capacità innovativa del biologico, che dovrebbe fondarsi, è opportuno ricordarlo, su processi di ricerca partecipativi e decentralizzati, ancora poco sostenuti dalla ricerca pubblica. Insomma, agricoltori e cittadini sono sempre più lontani fisicamente e socialmente, anche se sono anni che parliamo dell’importanza della filiera corta, del chilometro zero o del concetto di co-produttori.
Fonte: Rete Semi Rurali/Altra Economia