La maggior parte dei terreni italiani è appena sopra la soglia minima di desertificazione, l’acqua è intrisa di residui fitosanitari, le abitudini alimentari sono scorrette e incidono sul ricorso alle cure sanitarie, che sarà esponenziale in futuro.
In questo contesto il biologico è la strada che mette insieme la salute delle persone e quella del pianeta, ma ad una condizione: che cambi l’approccio e la valorizzazione del bio dal rapporto tra produzione e distribuzione.
Attorno a questo ragionamento si è sviluppato il convegno organizzato a Bologna nell’ambito del Progetto europeo It’s Bio promosso da AOP Gruppo Vi.Va in occasione della Giornata europea del biologico. It’s Bio è acronimo di Its good healthy and natural_BIO FRUIT&VEG e l’obiettivo è quello di promuovere in Italia, Belgio e Grecia il metodo di produzione biologica del settore ortofrutticolo in termini di salubrità, sostenibilità e garanzia del metodo produttivo.
Di questo progetto GRUPPO VI.VA Visione Valore, associazione che riunisce dodici organizzazioni di produttori, è il soggetto propulsivo per l’Italia, il cui compito è quello di promuovere il biologico e uno stile di vita sano e sostenibile.
I numeri mostrano, in generale, una sostanziale tenuta delle vendite in termini di valore con 5 miliardi di euro nel 2022 (fino a luglio) di cui 3,9 miliardi di acquisti in GDO pari a -0,8% rispetto al pari periodo 2021 (Dati Nomisma 2022) e 1 miliardo di euro per il fuori casa pari al + 53% rispetto al 2021. Quindi, se flettono gli acquisti, aumenta il consumo fuori casa ma anche i discount. Claudio Scalise, manager di SG Project, riferisce che il 60% degli italiani pensa che il bio faccia bene alla salute e il 52% vorrebbe comprendere meglio perché è anche sostenibile. Da qui il tema della valorizzazione del prodotto, sui cui i vari interventi della mattinata si sono snocciolati.
È Giovanni Dinelli, professore ordinario all’Università degli studi di Bologna e direttore del corso di formazione in Agricoltura biologica, a concentrarsi sul futuro del bio, su punti di forza e debolezze che possono diventare, al contrario, leve per la sua crescita e diffusione. Le evidenze scientifiche, fa sapere, sono tutte a favore del biologico, anche per ciò che riguarda l’incidenza di tumori, che cala nelle persone che si nutrono con cibo biologico. Non solo: “Il pianeta emette 8,8 miliardi di CO2; se ogni anno aumentassimo la presenza di sostanza organica nel terreno del 4 per mille, riusciremmo a riassorbire tutte le emissioni di gas serra entro cento anni”, aggiunge, mentre lancia una sponda al ‘vituperato’ mondo del biodinamico. Ma per Dinelli, la “minaccia” per il bio – oltre a competitor come il residuo zero – “che ha effetto sulla salute ma non sull’ambiente”, va ricordato – è anche la complessità dei regolamenti. Il nuovo consta di 120 pagine e “rende complicate anche le certificazioni di gruppo” che, invece, dovrebbero essere una delle soluzioni più percorribili per incentivare i produttori a passare al bio. “Il mondo del convenzionale è in crisi; mi cercano produttori che non mi avevano mai contattato perché non trovano l’urea: ecco – scandisce Dinelli – questo è il momento per spingere queste persone a passare al biologico”.
Anche Roberto Pinton, Membro del board di IFOAM Organics Europe, traccia un quadro di contesto molto preoccupante, dal punto di vista ambientale e sottolinea l’importanza di modificare il sistema alimentare globale mentre evidenzia come, purtroppo, oggi il modello sia “quello del greenwashing” che porta a comunicare che “si produce carne senza antibiotici solo perché non li si somministra magari da tre soli mesi…”. Pinton lancia l’allarme rispetto alla mancanza di presa di coscienza della situazione: “L’unica conseguenza del mettere la testa sotto la sabbia sarà il soffocamento”.
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Fonte: Corriere Ortofrutticolo